Testo ricavato dalla tesi universitaria della dottoressa Argelli Alessia della famiglia dei “Garibaldi” di Campomolino, capoluogo del Comune di Castelmagno

L’evangelizzazione della valle

Si sa che il messaggio cristiano si è diffuso nelle vallate del basso Piemonte a partire dal III secolo d.C.; a questo periodo risale infatti l’evangelizzazione delle Gallie ad opera di San Dalmazzo e il suo successivo martirio. Tuttavia, furono i monaci, prima di S. Colombano, poi Benedettini, provenienti da oltralpe, ad elidere dalle Alpi occidentali gli ultimi resti di paganesimo e a stabilirvi un’organizzazione ecclesiastica[1].

Il culto di San Magno

Il culto di San Magno compare nel Piemonte sud occidentale con il risorgere delle strutture monastiche benedettine, a partire dall’XI secolo

Il primo accenno ad una festa di San Magno nel cuneese compare negli statuti comunali di Beinette datati 1358. Pochi anni dopo, nel 1375, si ha notizia di una cappella dedicata a San Magno nel Comune di Dronero. Per quanto riguarda il territorio di Castelmagno, come già accennato in precedenza, la cappella di Sant’Ambrogio del Colletto compare talvolta menzionata come chiesa dedicata ai santi Ambrogio e Magno. Ad esempio,il 19 giugno 1408, il vescovo di Torino conferisce “la chiesa curata dei Santi Ambrogio e Magno de Castro Magno vallis Gramme” a don Romano Achino di Molines[2]

Sono tre le versioni tramandate a proposito del culto di San Magno. La prima vede in San Magno un compagno e collaboratore di San Dalmazzo nella sua evangelizzazione delle Gallie (e delle valli cuneesi in particolare). La seconda versione vede in San Magno un monaco bavarese dell’VIII secolo: nato nel 699 in Rezia, educato presso il monastero di San Gallo, ordinato sacerdote e inviato come missionario a Füssen, dove fonda un’abbazia e dove muore nel 772, a 73 anni. È tuttavia alla terza versione che sono legati, da secoli, gli abitanti di Castelmagno: quella che vede in San Magno un santo guerriero appartenente alla mitica legione Tebea[3]: una legione romana del III secolo d.C. che la leggenda vuole formata perlopiù da soldati di fede cristiana, originari dell’Egitto poi spostata nel Vallese. Qui, di fronte all’ordine imperiale di Massimiano di attaccare un villaggio convertito al cristianesimo, si narra che la legione, guidata da San Maurizio, si ammutinò. L’imperatore ordinò allora che i soldati ribelli fossero prima flagellati, poi decimati. La legione subì, quindi, una seconda decimazione e infine venne sterminata presso AGANUM, oggi San Maurizio in Vallese, sede dell’omonima abbazia. 

Il primo a narrare le gesta della legione tebea è Sant’Eucherio, vescovo di Lione (380 – 450), nella sua PASSIO ACAUNENSIUM MARTYRUM, redatta in base alle informazioni fornitegli dal vescovo di Sion, Teodoro, e dal vescovo di Ginevra, Isaac. Si tratta del più antico documento sul martirio della Legione Tebea. La leggenda doveva essersi tramandata nei secoli se il Botoneri, quando affresca la navata di ampliamento della cappella Alamandi, nel 1514, decide di dedicare un grande affresco ai santi Ponzio, Costanzo, Maurizio, Magno, Chiaffredo, Dalmazzo e Pancrazio[4], tutti annoverati tra i martiri della legione Tebea. Fu tuttavia Gualtiero Baldesano, “Canonico et Theologo della Chiesa Metropolitana di Torino” a dare nuovo impulso e diffusione al mito quando pubblicò, nel 1604, “La Sacra Historia di San Mauritio arciduca della Legione Thebea et de’ suoi valorosi Campioni”, dedicata al Duca di Savoia Carlo Emanuele I. In quest’opera, San Maurizio, già santo patrono della dinastia sabauda, viene elevato a comandante della mitica legione. Insieme a lui, vengono inseriti tra le fila della legioneTebea molti altri santi particolarmente venerati in Piemonte, tra cui: Chiaffredo, Costanzo, Magno, Ponzio, Dalmazzo e Desiderio. Quindi, come fanno notare alcuni studiosi, il Baldesano non ha fatto altro che codificare una tradizione già sorta negli ultimi anni del Medioevo, come anche attesta il dipinto del Botoneri presso la cappella antica.

San Magno viene celebrato e festeggiato ogni 19 agosto con messe e processioni in suo onore accompagnate dalla presenza delle autorità civili e religiose della provincia di Cuneo, della Baìo, della banda musicale di Castelletto Busca, delle Figlie di Maria e delle Sorelle di Sant’Elisabetta di Bernezzo e, soprattutto, da centinaia di fedeli, tra i quali sono ancora molti quelli che giungono a San Magno a piedi, in pellegrinaggio, nelle prime ore del mattino.

Il Santuario di San Magno

Il luogo di culto più importante di tutta la Valle Grana è il Santuario di San Magno, sito nel Comune di Castelmagno, a 1761 metri di altitudine, da secoli meta di pellegrinaggio.

Il nucleo architettonico più antico del santuario risale all’ultimo quarto del XV secolo. Fino a quell’epoca, infatti, a Castelmagno non esisteva ancora una chiesa interamente dedicata al santo martire[5]. Sulla base dei ritrovamenti archeologici risalenti all’epoca romana, in particolare l’arula dedicata al dio Marte, si può supporre che il sito su cui è successivamente sorto il santuario fosse già stato eletto a luogo di culto da pastori celto-liguri pre-cristiani.

  • La Cappella Alamandi

Le prime notizie certe risalgono al 1450. In quest’anno fu nominato rettore delle chiese di Castelmagno il sacerdote Enrico Alamandi di San Michele di Prazzo, in val Maira. Sappiamo con certezza che il rettore, per festeggiare i suoi venticinque anni di sacerdozio, nel 1475, decise di far edificare, sul pianoro su cui oggi sorge il santuario, una cappella in stile gotico, con volta a crociera, dotata di un solo altare rivolto ad Oriente e la porta di ingresso a ponente[6]. Per affrescare gli interni della cappella, Alamandi chiamò, tra il 1480 e il 1485 l’ ormai anziano pittore Pietro Pocapaglia da Saluzzo, il quale raffigurò, sulle quattro lunette della volta a crociera: il Padre Eterno, i quattro Evangelisti, i quattro principali dottori della Chiesa latina[7]; sulle pareti laterali: il ciclo della leggenda della legione tebea e una Cavalcata dei vizi. A fianco della cappella venne eretta anche la torre campanaria, alta 18 metri. La cappella Alamandi rappresenta dunque il nucleo edilizio più antico dell’intero complesso religioso.

  • La Navata Botoneri

La navata Botoneri rappresenta l’espansione cinquecentesca della cappella Alamandi. Evidentemente, il crescente culto verso san Magno richiese, all’inizio del secolo XVI, l’ampliamento della cappella con una struttura antistante alla precedente. La navata deve il suo nome a Giovanni Battista Botoneri, pittore nonché frate francescano cheraschese che nel 1514 ne affrescò gli interni con episodi tratti dal ciclo della Passione di Cristo e con santi venerati nella tradizione religiosa locale. Tra questi, un posto d’onore è occupato dai santi martiri della Legione Tebea, con San Magno al centro.

Nel XVII secolo, vengono fatte giungere da Roma, dietro richiesta diretta al Papa e relativo pagamento, le reliquie ritenute di San Magno e il pellegrinaggio si fece sempre più cospicuo.

  • L’attuale Santuario

Nell’ultimo quarto del XVII secolo, terribili carestie ed epidemie di afta epizootica decimarono il bestiame e le condizioni di vita nei campi peggiorarono sensibilmente. L’afflusso di pellegrini che chiedevano l’intercessione del santo, specializzato nella cura e nella protezione del bestiame, si fece imponente[8]. Le strutture esistenti, ormai, non bastavano, per cui si decise non più di ampliare la precedente cappella, bensì di costruire un nuovo, più grande tempio. Nel 1716 il nuovo edificio del Santuario era terminato, sotto la direzione del capomastro luganese Giuseppe Galletto, con la particolarità di essere stato edificato perpendicolarmente rispetto all’asse dell’antica cappella.

Il campanile quattrocentesco risultava ormai sproporzionato rispetto al nuovo, imponente, santuario; fu quindi sopraelevato di qualche metro a metà Ottocento. Tra il 1861 e il 1886 fu costruito l’imponente porticato che circonda il santuario e, sopra le sue arcate, furono ricavate camere di accoglienza per i pellegrini.

La Baìo

Così inizia il capitolo dedicato alla Baìo nel libro di Don Galaverna:

“Leggesi nelle antiche ordinanze del Comune di Castelmagno che, pel buon ordine della festa di S. Magno e per ovviare agli inconvenienti che vi potessero accadere, specialmente di risse, fu istituito un corpo o guardia di dodici uomini, detta comunemente la Baìo od anche Badìa di S. Magno”[9],

La Baìo(o Baìa) di Castelmagno è, oggi, un gruppo formato da una quindicina di uomini che fa, salvo eccezioni, un’unica uscita all’anno, in occasione della festa di San Magno, il 19 agosto, presso il santuario. In realtà, però, la Baìo ha origini laiche e la sua storia parte da lontano se già nel 1688 un documento attesta la volontà di sopprimerla da parte del feudatario locale.[10]Don Galaverna afferma di non essere riuscito a trovare l’epoca precisa in cui fu istituito il corpo della Baìo di Castelmagno; similmente, nel “Prepositario della Comunità”[11] di fine Settecento si legge che l’associazione è presente sul territorio da tempo immemore.

Come scrive Renato Lombardo in un interessante articolo pubblicato sulla Vous de Chastelmanh[12], fin dall’epoca medievale i giovani si radunavano in compagnie dette “abbazie degli stolti” (o “degli asini”, “dei folli”, “del mal governo” e simili) che volevano essere la caricatura dell’unico modello conosciuto di congregazione gerarchica operante sul territorio: gli ordini religiosi. Quasi tutte le comunità, dunque, sin dal Medioevo, avevano associazioni deputate all’organizzazione delle feste pubbliche. Alcune testimonianze arrivano da territori limitrofi a Castelmagno: al 1533 risale la supplica che le Baìe della Valle Maira inoltrarono al Marchese Francesco di Saluzzo per ottenere l’approvazione dei loro statuti[13]; di Pradleves sappiamo che aveva una Baìo molto attiva grazie ad una lettera del 1661 con la quale l’associazione supplicava la contessa Bernardina di Saluzzo affinché le permettesse di continuare la sua attività di promotrice di adunanze gioiose. Nel 1688 arriva a Castelmagno il divieto comitale di istituire la Baìo. Così Lombardone spiega il motivo:

[14]

“I signori ai quali le nostre località erano infeudate mal tolleravano la competizione delle compagnie festanti capitanate dagli abati. […] Motivo dell’ostilità dei conti era il fatto che le collettazioni, preliminari costanti dei riti gioiosi della Bahìo, andavano a sovrapporsi inopportunamente alle esazioni e alle regalie per le quali i signorotti locali reclamavano diritti esclusivi.”

Dopo un secolo di silenzio, i documenti comunali tornano a parlare della Baìo e nel “Propositario della Comunità” di fine Settecento, precedentemente citato, si legge che la Baìoera formata da:

  • Quattro ufficiali detti Abbà, tra cui: il primo Abbà, capitano del corpo; il vice-Abbà o luogotenente Abbà; il sergente Abbà eil caporale Abbà.
  • Cinque soldati
  • Cinque reclute
  • Un bombardiere (presente negli elenchi del 1777 e 1778)

Il consiglio comunale (all’epoca formato da tre uomini tra cui il sindaco) si riuniva, qualche giorno prima della festa patronale[15], per decidere i nomi dei nuovi membri della Baìo e per confermare i vecchi. Vigeva, infatti, la norma non scritta (ma che si può dedurre confrontando gli elenchi annuali dei membri componente la Baìo) per la quale, salvo comportamenti indegni, le reclute venivano confermate come soldati l’anno seguente e come ufficiali l’anno ancora successivo. Grazie a questa rotazione, si permetteva a molti di entrare a fare parte dell’ambito corpo di guardia.

La Baìo dell’epoca aveva soprattutto il compito di mantenere l’ordine pubblico durante la festa patronale. Infatti, secondo i registri, non erano poche le risse che regolarmente scoppiavano nel corso dei festeggiamenti di San Magno. Come scrive Lombardo, infatti: “Il ruolo della compagnia, prima annichilito e poi ridimensionato all’inizio del ‘700, nella seconda metà del secolo finisce per ridursi a compiti di mera tutela e sorveglianza, in occasione delle solennità per il santo patrono.”[16] 

Un secolo dopo, Don Galaverna descrive nel dettaglio la Baìo. Ogni componente, racconta il parroco, riceveva un’alabarda da ornare (usanza che si è mantenuta fino ad oggi) con le tradizionali levrées (nastri ricamati di vari colori, prevalentemente a motivi floreali, che ogni sposa donava agli invitati nel giorno delle sue nozze[17]) e un pennacchio di piume preziose da cucire sul cappello. Tali pennacchi erano di tre tipi a seconda del grado: a forma di cono e di colore rosso, bianco e blu, per le reclute; alla moda dei bersaglieri, ma di colore verde con un fiocco rosso nel mezzo, per i soldati; di colore rosso con una penna verde di forma allungata che contorna il cappello, per gli ufficiali. Per il resto, non ci sono attestazioni di una divisa per la Baìo: probabilmente, i componenti indossavano, per quella ricorrenza, l’abito più bello che avevano e così è stato fino alla fine degli anni Novanta. La sera prima della festa, era tradizione che la moglie appuntasse sul lato anteriore sinistro della giacca del marito, all’altezza del cuore, altre due levrées (un po’ più corte rispetto a quelle da legare all’alabarda), formando una croce colorata.

Don Galaverna ricorda come soltanto il primo Abbà avesse il diritto di andare avanti e indietro per la chiesa tenendo il cappello in testa e di come primo Abbà e vice Abbà non potessero appartenere alla medesima parrocchia, ma dovevano essere uno di Sant’Ambrogio e l’altro di Sant’Anna, evidentemente per evitare risse. I quattro ufficiali o Abbà, inoltre, dovevano pagare il pranzo per sé e per gli altri membri della Baìo (più anticamente anche alla banda musicale).

Finita la festa con i vespri solenni, la Baìo eseguiva nove giri di ronda intorno al santuario, durante i quali avveniva il tradizionale passaggio dei cappelli con il quale si cedeva il proprio posto ai componenti più giovani, di grado inferiore, innescando la rotazione di cui abbiamo parlato prima.

Della gioiosissima festa di San Magno dei secoli passati, che durava più giorni e che raccoglieva pellegrini più o meno devoti da ben oltre la valle, oggi resta, purtroppo, ben poco: la Baìo, con le nuove divise confezionate nel 2001, sfila regolarmente durante la processione, presenzia alle messe e chiude la festa con i nove giri di ronda, accompagnata dalla banda musicale.

[1]G. Musso, Il Santuario di San Magno, Cuneo, Primalpe 2000.

[2] Cfr A. M. Riberi, San Magno martire. Notizie della sua vita e del suo culto nel Santuario di Castelmagno, Cuneo, Tipografia diocesana S.Francesco di Sales, 1932, p. 10.

[3] Questo (e solo questo) è affettuosamente chiamato, dai castelmagnesi, San Manh lou noste.

[4] È interessante notare quanto siano diffusi questi nomi nell’onomastica locale, oggi come in passato.

[5]La cappella di Sant’Ambrogio del Colletto è talvolta menzionata, nei documenti scritti, come cappella dei santi Ambrogio e Magno.

[6] Tale cappella è oggi visitabile e nota come Cappella Alamandi.

[7] San Gregorio Magno, Sant’Ambrogio, Sant’Agostino e San Girolamo.

[8] Come testimoniato anche dai numerosissimi ex-voto presenti all’interno del santuario. I più antichi oggi conservati risalgo al XVII secolo.

[9] B. Galaverna, Cenni storico tradizionali intorno a San Magno martire Tebeo ed al Paese e Santuario di Castelmagno, Cuneo, Fratelli Isoardi, 1894, p. 145.

[10] Di fronte al Consiglio Comunale riunito per la circostanza, il segretario Falco dichiara di“aver ricevuto lettera in data 1.5.1688 direttagli dall’Illustrissimo Signor Conte di Cartignano, Signore del presente luogo con comando alla Comunità o sija me Secretaro a rapresentar alla medesima di dover annicchillare affatto l’abbadia di questo luogo con astenersi d’ogni sollazzo, anzi proibirsi a’tutti li del luogo di non mai più esigere alcun reddito o sij regalia portata da detta Abbadia in questo luogo”.

[11] Ordinati, delibere e verbali del Consiglio Comunale dal 1777 al 1792, Archivio Storico di Castelmagno, Serie 1,Parte I, n. 4.

[12] R. Lombardo, Superando i divieti dei feudatari e adeguandosi ai nuovi compiti assegnatile dall’autorità religiosa locale: così è sopravvissuta l’ultima Baìo della Valle Grana, in «La Vous de Chastelmanh», anno 33, n. 5, p. 10.

[13] Contenuta negli antichi Statuti della val Maira (Capitula et Ordinamente Vallis Mayranae …), nel capitolo intitolato Capitula abbatiarum locorum Lotuli, Cellarumet Almae.

[14] R. Lombardo, Superando i divieti…, cit.

[15] Nel giorno dell’Assunta, ai tempi di Don Galaverna.

[16] R. Lombardo, Superando i divieti…, cit.

[17] Ad ogni matrimonio corrispondeva un nastro particolare, scelto e ricamato dalla sposa, poi tagliato e donato agli invitati (l’antenato delle nostre bomboniere, se vogliamo). Ogni famiglia conservava gelosamente le levrées collezionate negli anni, ricordo dei matrimoni cui aveva partecipato.

La Baìo di Castelmagno– oggi

testo di Argelli Mauro della famiglia dei “Garibaldi” di Campomolino capoluogo di Castelmagno 

L’uniforme e la festa del 19 agosto


E’ dal 2001 che si è deciso di vestire in “divisa” i membri chiamati a formare la Baìo, prima si era vestiti col “l’abito della domenica” e con i cappelli alla borsalino.

Tale abito ricorda i vestiti che potevano essere indossati nel 1500 da coloro che erano chiamati a servire come guardie del Santuario di San Magno. E’ questa una recente innovazione che ha abbellito tutto il corpo di guardia oltre alla istituzione delle Dame che accompagnano ed aiutano la Baìo durante tutte le attività che sono chiamate a svolgere. In particolare, le Dame, hanno il compito di presentare i doni della “nostra terra” durante l’offertorio della messa grande, di dissetare le guardie e la banda musicale durante i nove giri di ronda, di seguire il banco di beneficenza avente lo scopo di raccogliere fondi per il mantenimento delle chiese presenti nel Comune di Castelmagno, di allietare con i loro festosi sorrisi tutta la giornata della festa.   

La ricerca degli abiti utilizzati nel XVI secolo, non fu per nulla facile. Pochi quadri riportavano come fossero vestiti i popolani poiché, gli artisti dell’epoca creavano le loro opere su commissione e quindi ritraevano solo chi poteva pagar loro il quadro stesso. Ponendo particolare attenzione alle figure minoritarie dipinte sullo sfondo delle opere d’arte raffiguranti in primo piano nobili e ricchi commercianti dell’epoca, si è potuto risalire alle figure popolane. Si chiese aiuto a dei ricercatori storici a Grugliasco (TO) in particolare vanno ricordati i fratelli Lino e Bruno Scapin.

Responsabile del progetto fu nominato Mauro Argelli di Campomolino della famiglia dei Garibaldi, nell’anno 2000. Raccolte le informazioni necessarie, fu affidato ad Agnese Cassino di Campomolino della famiglia dei Castagn la realizzazione dei bozzetti e figurini che furono più volte bocciati perchè l’abito in questione, seppur storicamente veritiero, non riportava la necessaria importanza che deve risaltare nella divisa di un corpo di guardia che scorta il Santo protettore della Valle Grana. Si scese così a “compromessi” che portarono alla realizzazione del bozzetto definitivo accettato dall’allora Abbà Claudio Donadio dei Castagn e dai veterani della Baìo stessa (in particolar modo da Arneodo Adolfo detto “Baffo”). Con il bozzetto alla mano, spalleggiati dal Sindaco del Comune (Clode Rignon) e dagli instancabili dirigenti del centro Detto Dalmastro (gli indimenticabili Gianni Dematteis e Silvio Einaudi), la  Baìo si presentò lo stesso anno alla manifestazione Uomini di Mondo dove fece ben parlare di se. Subito chiamati a salire sul palco ed applauditi da tutti gli ex militari di Cuneo (la manifestazione Uomini di Mondo era a loro dedicata), furono raccolte (e poi mantenute) le promesse di sovvenzioni da parte della Cassa di Risparmio di Cuneo, dalla Cassa di Risparmio di Torino, dalla Provincia di Cuneo e dalla Camera di Commercio di Cuneo. In tale occasione, si incontrò anche la Sig.ra Fiorenza Rastello di Cuneo, la costumista storica che materialmente ha provveduto alla realizzazione di tutti gli abiti (sia Guardie che Dame che Tamburini).

Così nel diciannove agosto del 2001, furono per sempre riposti i gloriosi cappelli alla “Borsalino” per indossare la divisa ancora oggi in dotazione. Tale abito è composto da cappello nero con ala ripiegata (per agevolare i movimenti delle alabarde dette “trent”) recante sul lato destro la coccarda occitana e il porta pennacchi (i colori dei quali rispecchiano la tradizione: rosso l’Abba, arancio con penna rossa per il vice Abbà, arancio per gli altri due ufficiali, verde bersagliere per i quattro veterani, blu bianco rosso per le reclute, aumentate queste di numero rispetto a quelle previste dal regolamento originale). Camicia bianca con colletto arricciato, laccio al collo rosso con fermagli, “senc”(panciera a vista) di colore diverso a seconda del grado ricoperto, pantaloni neri corti fino al ginocchio assai ampi ai fianchi con rifiniture rosse, scarponi neri da montagna, calze lunghe bianco panna, giacca nera con alamari rossi e rifiniture rosse sulle spalline. La divisa così riproposta ricorda il taglio tipico del 1500 (assai goffo a prima vista) ma anche particolari “folcloristici”  comuni a quasi tutte la Baìe del cuneese.

Fu rifatta fedele copia della bandiera della Baìo recante dipinta la figura di San Magno stesso. Grazie agli studi ed alla dedizione di Alessia Argelli di Campomolino della famiglia dei “Garibaldi”, furono insegnate a guardie e dame le bellissime nostre danze tradizionali occitane, danze che ancora si ballano tutt’oggi.

Le Dame hanno cuffia bianca con pizzi leggermente diversi fra loro, camicia bianca, calze bianche, zoccoli marroni, tunica lunga coprente tutto il corpo, scialle, crocefisso al collo. Tunica e scialle sono vistosamente colorate e sono tutte diverse fra loro.

Alcune “livrées” che addobbano le alabarde e quelle cucite a formare una croce all’altezza del cuore sulle giacche delle guardie, sono antiche, oggi rinforzate dall’aggiunta di nuovi nastri pervenuti dalla vicina Baìo di Sampeyre della Val Varaita.

Oggi resta difficile completare gli organici della Baìo. Passata l’euforia generale per i nuovi abiti, molte divise non hanno giovani reclute ad indossarle. L’impegno prevede il presenziare in piedi alle due messe del mattino (di cui quella “grande” con annessa processione), i vespri nel pomeriggio e gli allegri nove giri di ronda attorno al Santuario a chiusura della festa che ha sempre luogo il diciannove di agosto. 

Impegno assai leggero considerato i compiti della Baìo di qualche decennio addietro. Si narra che i membri della Baìo lavorassero un giorno alla settimana per i poveri e le vedove, organizzassero le squadre addette alla pulizia dei sentieri che collegavano le diverse frazioni di Castelmagno (soprattutto in inverno dalla neve). L’Abbà pagava nel giorno della festa il pranzo per se, per le guardie, la banda ed i massari…

E’ nostro fermo volere non far dimenticare questa “tradizione” unica nella nostra Valle e, raccontarla, è già un modo per preservarla nella speranza che essa continui fra le giovani generazioni.  

Per maggiori informazioni o per apportare migliorie e correzioni a quanto qui esposto si prega di scrivere alla seguente e mail: mauro.argelli@gmail.com