
Il periodo storico
Nel XVIII secolo i forti stati monarchici assoluti, formatisi nel corso dei secoli con il consolidamento di regni e principati, si scontravano spesso tra loro per svariati motivi: chi deve regnare in Spagna? Dove va tracciato un certo confine? A chi deve andare la Slesia? Le più forti potenze del periodo erano l’Inghilterra, la Spagna, il Portogallo, l‘Austria e la Francia con le quali doveva fare i conti il meno esteso Ducato di Savoia (e poi Regno).

Fedeli precursori del precetto clausewitziano, coniato più di un secolo dopo, il quale afferma che la guerra altro non sia che la continuazione della politica con l’ausilio di ulteriori mezzi, ne applicavano i principi con continui attacchi.
La guerra era il miglior mezzo per attuare le politiche rivali ed i principi espansionistici delle altre monarchie. Il valore della vita umana spesso non raggiungeva quello degli animali. Un cavallo, utile alla guerra, era ritenuto più importante di un semplice contadino.
Al tempo non esisteva un’opinione pubblica nel senso moderno del termine, la politica la facevano i re e i loro consiglieri. Si combatteva solo nella bella stagione, non s’inseguiva il nemico per evitare di assistere alla fuga dei propri uomini e le battaglie erano combattute come se i soldati fossero automi in uniforme, che marciavano guidati dai sergenti fino in bocca al nemico, col passo cadenzato, al ritmo dato dai tamburi e pifferi delle bande reggimentali.
Gli ufficiali di entrambi gli schieramenti erano gentiluomini eleganti e dai modi cavallereschi e raffinati, che condividevano gli stessi ideali. La guerra era per loro sia una professione che uno sport e la vita dei loro uomini valeva meno di zero. Il Duca di Wellington, anni dopo la vittoria su Napoleone, definì “schiuma della terra” i suoi soldati vittoriosi a Waterloo.
In quegli anni l’Inghilterra era decisa ad impedire che si formasse una grande coalizione continentale, la cui presenza avrebbe seriamente minacciato il suo benessere. La Francia aspirò sempre ad espandersi e quindi vi fu un continuo scontro tra le due nazioni, coinvolgendo anche gli altri stati in una lunghissima lotta senza fine, fatta di conflitti continui, dalle piovose Fiandre alle impenetrabili foreste nord americane.
Il reclutamento

Ecco come Walter Barberis ci presenta l’azione dei reclutatori (detti “commessi”) nel Piemonte del XVII-XVIII secolo: “Essi perlustravano città, terre e villaggi, in genere prendevano una stanza in una bettola o in una locanda poco vistosa e lì si dimostravano liberali nel tenere grandi pranzi, offrivano cibo e vino, giocavano alle carte non di rado accompagnati da qualche donna di virtù sospetta”.
Le gozzoviglie e il gioco erano l’anticamera dei debiti. A quel punto i reclutatori offrivano denari ai malcapitati e immediatamente li vincolavano con carteggi privati già vidimati da un notaio; inoltre “si procacciavano informazioni sui giovani dei dintorni, sui dissesti economici di questa o quella famiglia … quindi si mettevano alle costole di coloro che parevano più fragili e sfruttando le loro eventuali debolezze, facendo leva sul desiderio di riscatto o semplicemente ubriacandoli, proponevano loro prestiti in danaro legandoseli senza possibilità di scampo”.
Questi sistemi non erano sempre sufficienti a procurare il “materiale umano” necessario a rimpiazzare le perdite poiché la piaga della diserzione dissanguava gli eserciti del XVIII secolo. Già dai primi decenni del Seicento, in Svezia, era stato creato il sistema dell’Indelta (1620), mediante il quale ogni distretto rurale doveva fornire un soldato ogni dieci parrocchiani maschi e assicuragli il sostentamento, l’equipaggiamento e un appezzamento di terreno.
L’equipaggiamento
Oltre al reclutamento, gli Stati dovevano farsi carico di fornire le armi e l’equipaggiamento, una cosa assai onerosa per le esauste casse di Paesi obbligati a mantenere truppe in territori a volte molto distanti. In tutti gli eserciti europei, il rinnovo della veste e del cappello era biennale, mentre i pantaloni e le calzature si cambiavano ogni anno. Certamente non era tutto così automatico, molti soldati erano lasciati senza abiti e senza equipaggiamento anche per lunghi periodi, sia a causa delle carenze dell’amministrazione militare, sia, più frequentemente, a causa di abusi perpetrati dai comandanti o dagli appaltatori dell’impresa del rimpiazzo. Questi intascavano il denaro destinato all’acquisto degli abiti e dell’equipaggiamento dei soldati, molti dei quali rimanevano addirittura senza armi per lunghi periodi di tempo. Il Regno di Sardegna era però considerato all’epoca un’isola felice per ciò che riguardava l’organizzazione e l’efficienza dell’esercito.
Strategie militari e disciplina
I grandi conflitti del XVIII secolo sono: la guerra di Successione Spagnola (1701-1714), la guerra di Successione Austriaca (1740-1748), la grande guerra Coloniale (1754-1763) e la guerra dei Sette Anni (1756-1763). Quest’ultima è ricordata anche per essere il primo conflitto mondiale della storia. Il periodo che va dalla seconda parte del regno di Luigi XIV alla guerra d’Indipendenza Americana prende il nome di “guerre en dentelles” (guerra dei merletti). Questo perché le guerre erano combattute da soldati dalle uniformi variopinte, giubbe verdi, bianche, rosse o blu, dai bottoni dorati, dagli eleganti tricorni con coccarde multicolori, dagli elmi a punta d’ottone scintillanti al sole. Le fila tenute ben allineate da una disciplina rigorosa, i soldati temevano prima i propri superiori e poi il nemico, avanzavano a passo cadenzato fino a qualche centinaia di metri dal nemico per poi ingaggiare vicendevolmente il nemico.

Perché ciò fosse possibile era necessaria una dura e a volte tirannica disciplina militare; disciplina che nasce in epoca moderna grazie ad alcuni cambiamenti tecnici ed organizzativi apportati all’esercito delle Province Unite dai cugini Guglielmo Luigi e Maurizio di Nassau sul finire del XVI secolo. Questi cambiamenti erano dovuti dall’introduzione di alcune tattiche e strategie innovative che si sviluppavano mediante l’addestramento delle reclute. In particolare, fu perfezionata la cosiddetta “tecnica a raffica”, cioè un nuovo metodo per aumentare il ritmo di fuoco dei moschettieri (tecnica già in voga nella moschetteria giapponese). In pratica si schieravano gli uomini in una serie di file, all’interno delle quali i componenti della prima sparavano insieme e immediatamente si ritiravano per ricaricare, mentre le file successive avanzavano e facevano fuoco. In tal modo si poteva mantenere una scarica continua di colpi (nel caso specifico furono necessarie dapprima dieci file per mantenere un fuoco costante). Naturalmente a questa innovazione ne seguirono altre. Non era infatti più possibile affrontare il nemico con ranghi troppo serrati, in quanto si offriva un facile bersaglio. Le formazioni degli eserciti europei in battaglia cominciarono a dispiegarsi su fronti sempre più ampi. Ma anche questa nuova tattica non fu priva di ripercussioni importanti; fila più sottili di soldati esponevano inevitabilmente un maggior numero di uomini al combattimento corpo a corpo. Questo richiedeva una dose più massiccia di coraggio, efficienza e disciplina, oltre all’abilità e alla rapidità di intere unità nell’eseguire i movimenti fondamentali per riuscire a raggiungere un fuoco ininterrotto.
Tutto questo si poteva ottenere solo grazie all’addestramento. Le truppe erano quindi istruite per le operazioni di sparo, manovra, contromarcia e caricamento. Per quest’ultimo erano previste venticinque posizioni per gli archibugi e trentadue per i moschetti. Inoltre, i fratelli Nassau impostarono il loro esercito in maniera nuova, aumentando il numero dei moschettieri rispetto ai picchieri ed incrementando il numero degli ufficiali impiegati, divisero l’esercito in formazioni più piccole, con compagnie da centoventi uomini e dodici ufficiali (invece che duecentocinquanta uomini e undici ufficiali) e sostituendo i reggimenti (duemila uomini) con i battaglioni (cinquecent’ottanta uomini).

Nel 1607 ad Amsterdam venne pubblicato da Jacob de Gheyn con la supervisione di Giovanni di Nassau, un nuovo metodo avanzato di addestramento militare, “Wapenhandlingen van roers, musquetten end spiessen” (Addestramento con archibugio, moschetto e picca) libro di grande successo che si diffuse in tutta Europa. Nel secondo decennio del Seicento, Gustavo Adolfo di Svezia, grazie all’addestramento e alle continue esercitazioni delle sue truppe secondo il metodo olandese aumentò la rapidità della sua moschetteria arrivando a schierare solamente sei file di soldati per ottenere un fuoco continuo.
Lo stesso re svedese, al contrario dei Nassau (che utilizzavano al massimo otto cannoni), rese celebre il suo esercito anche perché durante la guerra dei Trent’anni schierò un abbondante parco di artiglieria (in Germania utilizzò ottanta pezzi) formato da cannoni di ottima fattura. Un ulteriore e decisivo impulso riguardante la disciplina e l’addestramento militare si sviluppò negli ultimi anni del Seicento e nel Settecento, a causa dell’aumento vertiginoso del numero dei soldati presenti nei vari Stati europei e del perfezionamento continuo delle tecniche di combattimento. Nel 1686, l’esercito austriaco utilizzò per la prima volta la baionetta nella vittoriosa battaglia di Berg Harsan contro gli ottomani, mentre nel 1699, durante la battaglia di Steinkerque, fu utilizzato per la prima volta il fucile, che in breve tempo soppiantò il moschetto.

La contemporanea presenza di molte migliaia di combattenti in campo provocò una maggiore lentezza e macchinosità nelle manovre e negli spostamenti di questi grossi contingenti. Gli uomini dovettero essere inquadrati all’interno di un rigido regolamento militare con il principale scopo di ottenere soldati formati e ben disciplinati, che consentissero maggior rapidità alla manovra.
La disciplina (come sentenzierà due secoli dopo Michel Foucault) esige la clausura ovvero un luogo chiuso su se stesso protetto dalla monotonia. Per tale motivo, nel Settecento vennero create un gran numero di nuove caserme, che mantenevano un isolamento rigoroso dalla vita civile e al cui interno erano particolarmente curati l’ordine e la disciplina. Inoltre, la caserma “stabilizzava l’esercito, questa massa vagabonda, impediva il saccheggio e le violenze, placava gli abitanti che mal sopportavano le truppe di passaggio, evitava i conflitti con le autorità civili, arrestava le diserzioni, controllava le spese”.
Cenni storici del Reggimento Saluzzo
Il 27/agosto/1672 neasce un reggimento savoiardo, comandato dal marchese Lullin de Geneve.
Nel 1675 il comando del reggimento passa al marchese di Bagnasco e nel 1678 al conte di Valperga Masino.
Il 27/febbraio/1680 viene denominato Reggimento Saluzzo di S.A.R.e nel 1685 viene istituita la compagnia di granatieri.
Durante la guerra della Lega di Augusta, contro la Francia, il reggimento Saluzzo partecipa il 18/8/1690 alla battaglia di Staffarda e nel 1691 alla difesa di Cuneo.
Nel 1693 è coinvolto nell’assedio di Santa Brigida e Pinerolo e nell’ottobre partecipa alla Battaglia della Marsaglia. Nel 1695 si trova all’assedio di Casale.
Durante la guerra di Successione di Spagna, sotto il comando del colonnello Pierre Arbalestier de Blagnac nel 1702 il reggimento è a Luzzara e dall’ottobre 1704 all’aprile 1705 è a difesa della fortezza di Verrua Savoia (lungamente assediata).

Nel 1706, organizzata la seconda compagnia granatieri, da maggio a settembre è in difesa di Torino assediata.
Durante la guerra della Successione di Polonia, prima con il colonnello Teodoro Falletto di Barolo e poi con il colonnello cav. Giuseppe Falletto di Castagnole, il reggimento Saluzzo combatte nel 1734 all’assedio di Tortona, alla battaglia di Parma e alla battaglia di Guastalla.
Durante la guerra di successione austriaca nel 1743 il reggimento è a Casteldelfino, poi nel 1744 a Pietralunga e a Madonna dell’Olmo.
Nel 1774 viene riordinato in tre battaglioni, complessivamente di quattordici compagnie per poi essere ridotto nel 1786 a due battaglioni, ciascuno di una compagnia granatieri e quattro di fucilieri.
Il 9/dicembre/1798 con l’ultimo colonnello Policarpo Cacherano d’Osasco, il reggimento è sciolto dal giuramento di fedeltà al Re di Sardegna.
La Cerchia ed il Reggimento Saluzzo
Invogliati dai successi e dal divertimento ottenuto partecipando alle rievocazioni del XVII secolo, i soci dell’Associazione La Cerchia decisero di studiare ed equipaggiarsi per partecipare alle rievocazioni del XVIII secolo.
La scelta di rievocare il reggimento Saluzzo, fu quasi obbligatoria, volendo continuare il percorso filologico delle tradizioni occitane nel Marchesato di Saluzzo.
La Cerchia ha rievocato, infatti, gli antichi celti, il medioevo con le eresie protestanti, la milizia Occitana del 1600 ed ora il reggimento Saluzzo di S.A.R. del 1751

Al fine di dotarsi d’un corretto equipaggiamento, fu richiesto l’illuminato aiuto di validi studiosi storici quali il Dott. Cerino Badone, della Dott.ssa Alessia Giorda, Dott.ssa Francesca Campagnolo, dell’allora laureando Eugenio Garoglio ai quali si affiancarono esperti amici di altri gruppi storici quali Alessandro Carmazzi, Paolo Ferrero, Raffaele Benedetto che apportarono importanti accorgimenti storico pratici alla nascente divisa del fante del Saluzzo.
Un’attenta ricerca presso l’archivio di Stato di Torino, portò alla luce il Regolamento Militare del 1751 adottato dai Savoia. Grazie a tale opera fu possibile stabilire la fornitura dei materiali e il cartamodello da utilizzare per il confezionamento delle uniformi stesse.
Forti di tali studi, i soci Mauro Argelli e Giraudo Fabrizio, si recarono dall’Assessore alla Cultura del Comune di Saluzzo, Dott. Valerio Dell’Anna, presentando il progetto per rievocare l’antico reggimento.
Successivi incontri con il Comune, portarono alla concessione dell’uso ed utilizzo dello stemma e della denominazione Saluzzo (documento riportante il numero di protocollo 4558 del 12/febbraio/2007, rilasciato dal Comune di Saluzzo, settore Servizi alla Persona).
Utilizzando esclusivamente fondi dell’Associazione e donazioni di soci, fu possibile la realizzazione delle prime divise rosso/blu dei fanti fucilieri, delle divise rosse dei musici e blu degli artiglieri.
Un’attenta e meticolosa ricerca portò ad adottare il modello di arma ad avancarica “moschetto francese del 1728 – modificato 1746” ed a far immatricolare tali repliche presso il banco prova Italiano.
Il socio Pinotto Paolo (caporale) riesumò dal regolamento del 1751 tutte le posizioni di manovra e caricamento che i fanti dovevano imparare per scendere in campo e, coadiuvato dal più che valido socio Baccan Roberto (sergente) detto “Burbero”… per il suo tipico atteggiamento da “sergente di ferro”, si iniziarono gli addestramenti.
Avevamo i vestiti, avevamo i movimenti da eseguire per muoverci correttamente in campo… altro non ci restava che far costruire i tamburi e cucire la bandiera.
Così fu, grazie alla Dott.ssa Francesca Campagnolo, furono correttamente dipinti i tamburi costruiti con pelle e cordame dall’Amat di Torino. Fu cucita, in diversi mesi, la bandiera di ordinanza del reggimento con particolare cura nella scelta dei tessuti naturali e confezionandola tutta a mano (con il punto doppio); tutto questo grazie alla professionalità e studio del validissimo ricercatore e sarto storico Sig. Davide Grassi.

La prima uscita con bandiera e gruppo avvenne a Revello domenica 7 settembre 2008, il plotone era così costituito:
Raffaele Benedetto come Comandante
Selene Drappero come Alfiere
Roberto Baccan come Sergente
Paolo Pinotto come Caporale
Alessia Argelli e Argelli Monica come tamburi; Beatrice Pignolo e Federica Raggi come pifferi; Daniela Mc Donald, Dario Casaletti, Massimo Fantaccini, Andrea Lenti, Luca Piccolini, Daniele Bourcier, Marino Lilliu, Valeria Martini, Maura Ugolotti, Marco Melano e Mauro Argelli come fucilieri; Marco Raggi, Giovanni Raggi, Diego Druetta, Maurice Vitalini e Biagio Casaletti come artiglieri; Lucia Lenti, Anna Castiello, Patrizia Demino (detta Mery), Laura Spezie e Elisabetta Ramella (detta Liz ed allora presidente) come vivandiere.
Seguirono da allora tante altre belle uscite ed altre ci aspettano.
